Marco Palmieri | Un allestimento italiano per la mostra di David Hockney, Fondation Louis Vuitton
16 Aprile 2025Dietro la scenografia della retrospettiva che la Fondation Louis Vuitton dedica al grande pittore inglese, c’è lo sguardo di Marco Palmieri, l’architetto italiano che firma l’allestimento. Più di 400 opere, dalle prime tele fino alle pitture digitali realizzate con l’iPad, tracciano gli ultimi 25 anni di produzione dell’artista, oggi 87enne. L’intuizione di Palmieri è stata creare un allestimento che giocasse un ruolo attivo: « Volevo marcare in modo netto i diversi passaggi, con layout che accentuassero la poetica delle opere esposte ». Dopo gli studi tra l’Università di Napoli e l’Irlanda, Marco Palmieri si trasferisce a Milano, dove inizia una collaborazione decennale con Ettore Sottsass. Grazie a questa esperienza, entra in contatto con il collezionista Jean Pigozzi, per il quale cura l’allestimento di una mostra sulla sua collezione di arte africana alla Fondation Louis Vuitton. Da lì nasce un legame continuo con l’Istituzione progettata da Frank Gehry, per la quale firma numerosi allestimenti: « La Courtauld Collection, la retrospettiva su Gilbert & George e, la mia preferita, quella di Cindy Sherman », racconta Palmieri.
All’inizio del percorso, le prime opere degli anni Cinquanta, tra cui un ritratto del padre e un paesaggio urbano dello Yorkshire, dove l’artista è nato nel 1937, presentano un impianto espositivo classico. Tuttavia, già nella seconda sala, l’illuminazione segna un primo stacco decisivo: le tele più iconiche, dipinte in California negli anni 1960-1970, come A Bigger Splash, sono esposte insieme ai paesaggi cromatici intensi dipinti 30 anni dopo. La scelta dei curatori, Suzanne Pagé, direttrice artistica della Fondazione, e Norman Rosenthal, ex direttore della Royal Academy di Londra, non segue un percorso cronologico. « Ogni ambiente è stato pensato per dialogare con il contenuto », prosegue Palmieri. « La sala dedicata ai lavori nello Yorkshire ha una struttura più organica, con due grosse vetrine semicircolari che guidano il visitatore in percorsi ad anello, mentre la galleria dei ritratti riprende la distribuzione a parete completa, tipica dei musei inglesi ». Centrale è l’utilizzo del colore. « Ho scelto tinte che richiamassero la gamma cromatica dei quadri per discromia. Le sue opere sono spesso attraversate da colori primari molto intensi: c’è un messaggio di positività, di desiderio di vivere ». La sensibilità artistica di Palmieri, che oltre ad essere architetto è anche artista, ha sicuramente aiutato. « Ho voluto enfatizzare il contrasto tra le sue opere e lo spazio ». Alla domanda su come sia collaborare con un artista del calibro di David Hockney, con uffici e collaboratori tra Londra e Los Angeles, la risposta è chiara: « Quando progetto un allestimento, cerco di dimenticare l’artista e la sua fama. Mi vedo come un mediatore che sagoma gli spazi affinché le opere possano avere un canale d’accesso più diretto in chi osserva ». E il momento più difficile? « Il primo incontro. Ero cosciente di essere sotto esame. Ho lasciato che le cose andassero per il loro verso... ho capito che avevo passato il test quando mi è stato offerto il fish and chips più buono che abbia mai mangiato! »
Bianca Cerrina Feroni
IL GIORNALE DELL'ARTE, 13 aprile 2025