14 Maggio 2011 / 10 Giugno 2011
Nel 2009 sono stata invitata alla Royal Hibernian Academy a Dublino, avevo deciso di non portare con me niente altro che un po’ di materiale per disegnare. Dublino è una città che conosco, lì lavoro con la Rubicon Gallery; amo l’Irlanda. Mi è stato messo a disposizione uno studio nuovissimo, diverso dalla mia idea di studio, pareva una cucina: un bellissimo lavandino con rubinetto miscelatore supermoderno e degli armadi a muro di formica bianca chiusi a chiave (erano vuoti ma si erano perse le chiavi). C’era anche un cestino molto grande per buttare la carta, un tavolo malsicuro e una sedia: era proprio quello che ci voleva. Nel giro di pochi giorni in quella stanza si è ragrumato il mio universo dublinese.
Con piccole cose raccolte in giro ho rincominciato a fare quello che sembra essere la mia natura: arrangiare le cose, organizzare piccoli paesaggi di oggetti e relitti, costruzioni come piccole fortezze, architetture in miniatura, e mi sono messa a disegnarle semplicemente con un pennino nero o con matite colorate.
Poco a poco, con le matite ho trovato il mio tratto, e con il pennino un modo di rendere i volumi. Questi disegni li ho fatti su dei quaderni e su dei fogli grandi.
Quando sono tornata a Milano dopo quasi tre mesi, non avevo neanche tanta voglia di dipingere, quindi ho iniziato la seconda serie di disegni, questa volta con gli oggetti del mio universo milanese, la sua luce e suoi i rumori.
La terza serie di disegni è stata fatta l’estate scorsa in giardino. Sono disegni meno frenetici mi sembra. Sono fatti a matite colorate, gli elementi rappresentati sono più casalinghi, più differenziati fra loro nelle forme e nei colori: piuttosto degli elenchi di oggetti che delle costruzioni come i disegni precedenti. Verso la fine di questa serie sono tornata “al monocromo”. Ho usato lo stesso colore per tutti gli oggetti e cosi sono tornati ad essere di nuovo più delle costruzioni che degli elenchi. Per una persona come me il disegnare è un processo quasi troppo rapido. Una volta trovati i modi, la mano corre senza nessun freno: direttamente mossa dalle oscillazioni del cervello riempie la pagina, come un plotter riproduce nella sua lingua quello che gli occhi hanno analizzato. A volte quando il disegno è finito è come guardare un reperto di una civiltà sconosciuta. E’ il momento più bello, questo strano corto circuito, fino a quando non si prende un’altro foglio per vedere se la magia si ripeterà….” Nathalie Du Pasquier